A fine agosto scorso, silenziosamente, con l’eleganza leggera che lo contraddistingueva, se ne è andato Robert Moog. Una persona che ha rappresentato un vero mito, per gli alfieri della popular music, come per i semplici appassionati.
Mi piace ricordarlo così: la prima volta che ho sentito il suo strano cognome è stato nel 1975 – avevo 13 anni. Era l’estate del tormentone del Guardiano del Faro, Amore grande amore libero, e non si sentiva altro sui juke-box che il tema sdolcinato di questo brano suonato con un timbro mai sentito prima.

A produrlo era appunto un enorme sintetizzatore Modular della Moog, come ebbi modo di scoprire qualche tempo dopo guardando in televisione (rigorosamente in bianco e nero…) una trasmissione in cui Federico Monti Arduini (il vero nome del Guardiano del Faro) tra il serio e il faceto ironizzava rispondendo a chi gli chiedeva come mai questo strano “strumento” si chiamasse Moog: “perché muggisce, senti?” E giù un bel verso di Modular…

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Ho fatto una ricerchina per sapere che fine abbia fatto il buon Arduini: chi non stesse nella pelle dalla voglia faccia una capatina qui, e scoprirà l’arcano.
Ma torniamo a Robert Moog.
La storia professionale di questo ingegnere innamorato della musica e dei musicisti ha avuto pagine anche amare, come la perdita e la faticosa riconquista solo pochi anni fa del prestigioso marchio di fabbrica; gli anni trascorsi a insegnare in un liceo della provincia americana ad Asheville, North Carolina.
Come racconta Hans Fjellestad, il regista del documentario su Moog che è uscito nel 2004 e che ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti, Bob era un gentiluomo e un signore gentile; uno che si addormentava alla lezione di yoga del mercoledì; che andava da anni in giro con la stessa Toyota scalcinata; e allo stesso tempo, parole del leggendario tastierista Rick Wakeman, una persona che “aveva cambiato il volto della musica”.
Nell’iconografia del rock è impossibile distinguere le figure di personaggi quali Wakeman o Keith Emerson dalla muraglia di sintetizzatori (molti dei quali Moog) che ne circondavano le gesta sul palco.

E che dire dei riff memorabili di Tarkus degli EL&P, dei suoni di Switched on Bach di Wendy Carlos (ripresi da Kubrick nel suo Arancia Meccanica) o, per stare in Italia, del tema di Impressioni di Settembre della PFM? Tutti suoni prodotti da strumenti Moog. Tutti derivati dal lavoro di un signore oscuro, troppo modesto per parlare di sè, per elevarsi a personaggio, sempre pronto a attribuire ad altri meriti che invece erano propri. Un’eccezione in un mondo di lupi. Una mosca bianca.
Grazie Bob per tutto quello che ci hai regalato. Riposa in pace.