Ormai è più di una settimana che sono tornato dal Giappone. Pensieri, immagini, suoni, sensazioni uniche mi si affollano ancora dentro. Vi dico subito che ero partito prevenuto e sono tornato entusiasta: tutti i cliches e gli stereotipi sul Giappone e i giapponesi sono crollati miseramente fin dai primissimi giorni della mia permanenza. Lontano dalla frenesia della megalopoli Tokio, il Giappone mi ha rivelato il suo lato più intimo, e la sua gente mi ha conquistato con un garbo, un’ospitalità e un amore per la bellezza che non credevo possibile. Quello che segue è un diario dei giorni che ho trascorso tra Osaka, Tottori, Iwami, Chizu e Kyoto, corredato da immagini scattate da me e dai miei colleghi di viaggio. Se non servirà ad altri per appassionarsi di luoghi e persone sconosciuti, sarà utile di certo a me per conservare la memoria di quanto ho vissuto in quei giorni. Buona lettura!
7 dicembre
Partiamo puntuali alle 14.30 da Malpensa alla volta di Osaka con un volo di linea Alitalia. 12 ore filate per coprire 9500 km, con una rotta, all’andata, che attraversa il cuore dell’Europa, attraverso Polonia, Russia e Siberia, prima delle virate conclusive sul mar del Giappone. Malgrado ogni ragionevole tentativo di prendere sonno, non riesco a chiudere occhio per l’eccitazione.
Appena sbarcati a Osaka, mi colpisce l’ordine e il bianco asettico della zona di ritiro dei bagagli. Sembra di essere in un aeroporto di minore importanza, e non nel secondo del Giappone. Niente ressa, poca gente, le valigie sui nastri dopo pochi minuti, carrelli a portata di mano. Anche il controllo dei passaporti non richiede che pochissime formalità, il tempo di compilare i soliti moduli e di attraversare le barriere di sicurezza mentre i cani poliziotto annusano le persone e le loro merci. Ho letto che dalla fine di novembre una nuova legge obbligherà gli stranieri in ingresso a sottoporsi alla rilevazione delle impronte digitali, come misura preventiva antiterrorismo. Mi sembra, pur nella drammatica situazione in cui versa il mondo occidentale, una misura che non si confà alla gentile pacatezza di questo popolo, sorridente e ospitale.
All’uscita dall’aeroporto prendiamo un bus per Mamba, il terminal passeggeri di Osaka, dove arriviamo in 50 minuti. La proverbiale organizzazione giapponese non manca di farsi notare immediatamente: quando mai in Italia etichettano i bagagli in entrata e in uscita da un bus? In Giappone lo fanno abitualmente, ed è impossibile smarrirli o scambiarli con altri passeggeri.
Arrivati a Mamba andiamo un po’ a zonzo per il terminal passeggeri (una struttura sotterranea a più piani) e per un attimo ci sentiamo sperduti, perché le persone che devono venirci a prendere sono in ritardo. (Allora capita anche a loro! ci diciamo). Torniamo al luogo del nostro arrivo e pochi minuti dopo sono là, il dottor Fukushima (di lui dirò dopo) in compagnia di colui che per tutto il nostro viaggio sarà chiamato confidenzialmente “quiet man” (non conosco il suo vero nome), la persona più mite e gentile che abbia mai conosciuto, un vero angelo custode, che con la sua presenza discreta ci ha accompagnato in quasi tutti i concerti e gli spostamenti.
I nostri ospiti si mostrano subito accoglienti e prodighi di attenzioni: ci offrono il primo pranzo giapponese (le salviette bollenti per lavarsi le mani, e poi sapori e odori che mi diventeranno familiari poco a poco nei giorni seguenti) e ci accompagnano in bus fino a Tottori, nostra destinazione primaria. Durante il tragitto (più di due ore e mezza) non posso fare a meno di provare ammirazione sincera e gratitudine per queste due persone a me sconosciute che, per puro spirito di accoglienza e ospitalità, hanno sacrificato un’intera giornata solo per venirci a prendere e accompagnarci a destinazione. Ma è solo una delle tante cose che mi ha colpito di loro…
Il nostro tragitto in autobus alterna lunghi tratti d’autostrada e strade secondarie. Riesco a stento a trattenere il sonno ma il paesaggio è mozzafiato: boschi rigogliosi, in fiamme per i colori dell’autunno, corsi d’acqua, montagne, rapaci in cielo. All’arrivo a Tottori troviamo un piccolo drappello di persone ad accoglierci con uno striscione “Ben Venuti a Tottori!!” (sic). Pur stanchissimi non possiamo fare a meno di sorridere e di prestarci alle prime foto ricordo.
Apro un piccolo inciso sulle foto: i giapponesi hanno davvero la mania di fotografare, sempre e dovunque. Le macchinette digitali sono pervasive, e durante tutta la permanenza in Giappone ci siamo trovati a posare per centinaia, dico centinaia, di scatti. A Kyoto addirittura (ne parlerò più avanti) il personale addetto ai siti più belli si presta con la più assoluta disinvoltura a scattare le istantanee per i turisti, e capita di scorgerli con al polso anche tre o quattro macchine fotografiche appartenenti ai componenti della foto e che, a turno, vengono usate per immortalarli nella medesima posa…
Rapidamente bagagli e strumenti vengono caricati in un paio di macchine capienti e ci dirigiamo verso la casa che ci ospiterà per tutta la permanenza a Tottori. Tottori non è una grande città, ha 250.000 abitanti, e da domani imparerò a conoscerla meglio, visto che dovrò starci per diversi giorni.
La casa è bellissima. Non è distante dall’arteria principale, quella che collega la Stazione ferroviaria alla Prefettura, al cui centro sta il grande teatro che ci ospiterà per il concerto principale. Ha due piani, c’è molto legno e un arredamento minimale. Ci sono decine di ciabatte all’ingresso, ed è obbligatorio togliersi lì le scarpe. Fa freddo nella mia camera, non c’è il riscaldamento, dovrò imbacuccarmi per bene. Il mio “letto” è fatto di due piumini spessi sovrapposti a diretto contatto con il pavimento coperto dal “tatami”, del tutto simile a quello che si usa nelle palestre di judo. Malgrado l’arredamento ridotto al minimo abbiamo il telefono e la linea adsl. Potrò collegarmi al resto del mondo, mi sento sollevato…
C’è una persona che ci accoglie in casa, si chiama Chiaki. Non posso definirla donna di servizio, nè governante, nè in altro modo. Verrà a sbrigare la faccende di casa due volte la settimana, ma di fatto si prenderà cura di noi e farà del suo meglio per venirci incontro in ogni nostro bisogno. Mi promette subito una una stufetta elettrica per l’indomani e trova un materasso per isolarmi dal pavimento. Ci affezioneremo moltissimo a questa persona, che con delicatezza ci è stata vicina, è venuta a sentirci al concerto, ci ha regalato bellissimi biglietti di carta decorata e poesie d’addio alla nostra partenza.
La nostra prima lunghissima giornata non è ancora terminata. Ci vengono a prendere per un piccolo party di benvenuto e conosco in un colpo solo tutte le persone che ci seguiranno in questi giorni. Sono tutti complimentosi, fanno inchini da paura e scattano fotografie come forsennati. Sono simpatici però…Vado a letto esausto e piombo in un sonno profondissimo e senza sogni.
8 dicembre
Ci siamo alzati tardi e Chiaki ci riassetta per bene le stanze, fa il bucato, sistema le stufette elettriche e a kerosene. Ci ha portato acqua minerale e cioccolatini con cuore di riso in regalo. E’ gentilissima, servizievole, continua a inchinarsi e augurare buona giornata, a chiedere se va tutto ok, se abbiamo bisogno di niente. E’ pronta a farmi portare una struttura in legno per il letto ma ho dormito talmente bene sul pavimento che le ho detto di no. Solo abbiamo aggiunto un materasso sotto i due piumini e una seconda coperta. Ho un cuscino meraviglioso pieno di chicchi di riso…
Ci portano al giornale locale, dove ci sottoponiamo a una breve intervista, ci fotografano e videoriprendono; a pranzo mangio a un sushi bar, con le pietanze che scorrono su piattini diversi e io che goffamente cerco di indovinare che sapore potrà avere quella cosa colorata che mi passa davanti…ricordo bene il gusto del tè verde, così particolare e intenso.
Nel pomeriggio proviamo a casa di Fusayo, la nostra collega giapponese che ha organizzato il tour. Ha un palazzo intero, lei ne occupa due piani…un salone grandissimo e due pianoforti a coda. Ci sono bambole e chincaglierie ovunque e lei sta invariabilmente in maniche corte, dentro e fuori casa. Il riscaldamento è spento, e suonare non è piacevole.
continua…