Poche annotazioni sulla figura di un compositore che, a ragione o a torto, è stato eletto a simbolo di una modalità di fruizione della musica, quale mediata dal Romanticismo, che ancora oggi permea la nostra concezione musicale.
 
Beethoven, infatti:
– incarna l’ideale del musicista scevro da condizionamenti economici e ideologici;
– la sua musica aspira esplicitamente ad una dimensione trascendente;
– la strutturazione del suo linguaggio è di una tale complessità da sfidare le capacità ricettive dell’ascoltatore medio.

Per tutto ciò la sua figura è stata mitizzata come simbolo stesso dell’autenticità in musica, nel senso di una sincerità e di una coerenza interna che non si cura del riscontro positivo, dell’approvazione.

E’ paradossale, ma il mito dell’autenticità ha attraversato indenne il tempo e lo spazio, ed è ancora oggi la qualità principale che si richiede ad un artista rock, tanto per fare un esempio che sembra apparentemente lontanissimo…

In più la musica e il ruolo della figura di Beethoven sono stati talmente importanti per la società borghese ottocentesca da consentire, per suo tramite, anche la legittimazione retroattiva dei compositori che lo avevano preceduto. Spesso solo onesti artigiani, ora vengono considerati artisti.

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Ancora due annotazioni di carattere generale:
1) la musica di Beethoven presenta scarsissime connotazioni di autoreferenzialità. La sua è una poetica sempre tesa all’allargamento delle frontiere creative, alla sperimentazione; dunque poco propensa all’autocitazione. Malgrado ciò è interessante notare che la cifra stilistica beethoveniana è in qualche modo sempre riconoscibile per certi aspetti peculiari inerenti alla struttura del testo (cfr. la dinamica, un certo carattere serioso, etc…).

2) per Beethoven la riflessione sul passato assume un’importanza davvero rilevante. In termini di retorica musicale, l’inclusione di sezioni contrappuntistiche, fino a vere e proprie Fughe compiute, all’interno di una composizione musicale rimanda necessariamente a valori estetici del passato considerati per convenzione assoluti, trascendenti. Basti pensare a Bach. Ma per Beethoven la costruzione architettonica contrappuntistica non è ripiegamento nostalgico, né tantomeno sfoggio virtuosistico; è invece funzionale alla sperimentazione di una modalità comunicativa diversa, che non è più assimilabile alle forme consuete, ma si protende verso il futuro contenendo in sé tutto il precipitato del passato.

Ecco perché Beethoven ha avuto un ruolo altrettanto importante per la storia della musica, quanto per la storia della sua fruizione.

C’è però un rovescio della medaglia. Con Beethoven, non per sua colpa, ma per la strumentalizzazione della sua figura operata dalla società borghese, la cosidetta musica colta viene eletta a musica superiore, perché diversa e più complessa rispetto alla musica d’uso e alla musica popolare. E’ l’inizio di una dicotomia che avrà pesantissimi riflessi sul piano culturale e sociale, perfino ideologico, fino ai giorni nostri.

Le contrapposizioni, le prese di posizione, le guerre di religione potremmo dire che hanno infiammato i discorsi intorno alla musica soprattutto dalla Scuola di Vienna agli anni 70, hanno origine nella mitizzazione romantica (nelle due accezioni idealista e positivista) del compositore, che di fatto sarà progressivamente sempre più noncurante del ruolo del fruitore del proprio lavoro, esecutore o ascoltatore che sia.

La musica colta, con un processo graduale ma irreversibile, comincerà ad offrire sempre minori appigli, punti di riferimento rassicuranti, temi, strutture consolidate, fino ad andare in frantumi in una miriade di poetiche individuali. E le poche eccezioni non faranno altro che confermare la regola.

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Paradossalmente, e io come altri nel mio piccolo l’ho vissuto personalmente, negli ambienti accademici la musica verrà considerata quasi più musica per gli occhi, avrà valore pressoché solo come segno, verrà valutata solo per i suoi valori costruttivi e non più per la sua inerenza.

Bisognerà aspettare gli anni 90 e il nuovo millennio perché finalmente cambi qualcosa: oggi, per esempio, viene universalmente riconosciuto credito agli studi sulla popular music; nessuno si scandalizza più per le commistioni di genere; il termine contaminazione è talmente usuale da essere già frusto; la tonalità non scandalizza più nessuno; si è sdoganata la musica di autori aborriti dai parrucconi fino a pochi anni fa; e potrei continuare…
Tutto bene allora? Non sta a me giudicare. Io prendo atto solo di quanto accade. Ma è grazie a quanto rimbalza nel tam tam di tutti i giorni che posso finalmente, come tutti, avere la libertà di occuparmi di Musica, senza steccati ideologici e distinzioni di genere.
La Musica è ciò che più conta, e Beethoven in fondo non voleva che questo.
Diceva Nietzsche: “Senza Musica, la vita sarebbe un errore”.

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Per alcune idee espresse in questo articolo sono in debito verso le posizioni illustrate in due libri interessanti che approfitto per segnalarvi:

L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin di Alessandro Baricco;

Musica. Una breve introduzione di Nicholas Cook.